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Educare alla cittadinanza di A. Sarfatti [Incominciare - NL. 4]


Educare alla cittadinanza di Anna Sarfatti

Settembre 2009: primi giorni di scuola della mia “nuova” prima, alle prese con le vocali, “I” e “O”. Pochi mesi fa quei banchi erano occupati da altri bambini e bambine, ora passati alle medie...

Educare alla cittadinanza
di Anna Sarfatti
 
 
Settembre 2009: primi giorni di scuola della mia “nuova” prima, alle prese con le vocali, “I” e “O”. Pochi mesi fa quei banchi erano occupati da altri bambini e bambine, ora passati alle medie. Con loro ho fatto un interessante percorso di educazione alla cittadinanza, che desidero riprendere con i piccoli. Ma come ri-partire?
Il gioco delle vocali proposto dal libro di testo mi comunica un senso di disagio: l’Istrice Igina e l’Oca Olga riempiono di sé le pagine con azioni improbabili. Vorrei conoscere meglio i miei bambini, dare senso a quello che facciamo. Finalmente, dall’incontro delle due vocali e una consonante, metto a fuoco due pronomi, due soggetti della cittadinanza: IO e NOI.
Decido di lanciare lo stimolo ai bambini: “A cosa vi fanno pensare queste due parole? Che differenza c’è tra IO e NOI?”
“IO sono 1 e NOI siamo 22. IO sono Azzurra, NOI siamo la I E”.
Edoardo: “Quello blu, io, vuol dire che siamo uno solo e noi siamo in tanti”.
Matteo C.: “Uno solo non si divertiva, non c’era nemmeno un amico, da solo fuori non giocava… si annoiava”.
Edoardo: “E poi con chi studiava? Da solo non sapeva nemmeno cosa fare…”.
Gaia M.: “E se non aveva i libri giusti chi glieli prestava?”.
Matteo C.: “Essere tanti è meglio perché ci si diverte tutti”.
Niccolò: “A parte che con qualcuno non ci si può divertire o non è un amico o non ci si può giocare…”
Stefano: “Però si può fare amicizia!”
Tommaso: “Oppure se c’è un bambino che conosci puoi giocare”.
Matteo C.: “Un giorno ti porto a vedere i miei insetti stecco… sono due… anche loro si fanno compagnia”.
La nostra prima conversazione si è chiusa più o meno così; pochi scambi, eppure tanti spunti di riflessione, che qui provo a condividere.
Partiamo dalle parole di Azzurra: io e noi. Il suo primo istinto è quello di dare ai due soggetti un nome, per conoscersi e riconoscersi: Azzurra e la I E, e dentro la I E Edoardo, Matteo C. e Matteo M., Stefano, Tommaso, Lucrezia … Educare alla cittadinanza è conoscersi, a partire dal proprio nome.
Edoardo ci consegna altre due parole: uno e tanti. Entrare in un gruppo porta i bambini a “toccare con mano” la differenza tra uno e tanti. Probabilmente, all’inizio, la quantità di altri bambini sorprende e frastorna allo stesso tempo; esalta e limita; può anche, in alcune occasioni, dare un senso di solitudine, di spaesamento. Quante volte li ho sentiti dire nei primi mesi: “Fanno troppa confusione! Mi fanno venire il mal di testa!”. E’ il segno che quel tanti si è trasformato in troppi. Ecco dimostrata la necessità delle regole. Senza regole a qualcuno viene sicuramente il mal di testa.
“Se non parlate tutti insieme, ma uno per volta…”
“Se mi dai il tempo di aiutare Filippo prima di venire da te…”
“Se a tavola evitate di battere le forchette sui piatti, come se suonaste la batteria…”
In una comunità le regole aiutano a dare ordine alle diverse situazioni e a far sì che ognuno sia  rispettato. Regole, e non ricatti, né minacce, né lusinghe, né patti provvisori.
Educare alla cittadinanza è aiutare a cogliere la ricchezza dei tanti, facendo in modo che non sia avvertita come oppressione o ingovernabilità dei troppi.
Uno solo non si divertiva… si annoiava” dice Matteo, che più avanti aggiunge: “Essere tanti è meglio perché ci si diverte tutti”. Il gruppo dei pari è sinonimo di allegria, di divertimento, di compagnia da cui nasce l’amicizia, di aiuto a risolvere i problemi (prestarsi i libri giusti è forse la preoccupazione dei primi giorni di scuola!).
Ma Niccolò, forse perché figlio unico o forse perché particolarmente maturo per esperienze personali, avverte che il gruppo è formato da singoli, tra cui c’è chi può non risultare gradito.
Educare alla cittadinanza è imparare a rispettare tutti allo stesso modo, ma avere il diritto di scegliere le persone con cui stringere rapporti più intensi di amicizia o di collaborazione.
Matteo, forse colpito dalle parole di Niccolò, riflette su ciò che conosce: la compagnia è un valore anche per gli animali, basta vedere i suoi insetti stecco.
Educare alla cittadinanza è garantire il diritto di esprimere la propria opinione e rispettare quella degli altri, anche quando è diversa dalla nostra.
Questo dicevano a settembre, erano i primi giorni di scuola. Intanto il nostro compito di adulti educatori, responsabili di quella nascente comunità, era quello di aiutare a tessere la trama delle relazioni tra i singoli, tra il gruppo e gli altri gruppi, tra gli alunni e l’istituzione scuola, tra la scuola e le famiglie, in modo da dare spessore a quel NOI appena nato.
Con un salto temporale penso a una mattina di fine maggio, quasi a conclusione del primo anno di scuola. Stiamo sfogliando un quaderno che abbiamo intitolato “IO e NOI”, dedicato proprio al tema della cittadinanza.
Rilancio la domanda iniziale: “Come possiamo spiegare la differenza tra IO e NOI?”
Risponde Azzurra: “IO sono io… che sono una persona”. Si alza in piedi, fa qualche passo per avvicinarsi ad altri compagni: “Se sto con gli altri divento NOI… allora faccio le cose insieme agli altri, non sono più da sola.”
“Noi ti possiamo aiutare… giochiamo insieme” dice Virginia.
Intervengo per sottolineare che stare con gli altri implica contemporaneamente dare e ricevere. Educare alla cittadinanza è esercitare un pensiero plurale.
“Poi, se torno al mio posto, ridivento IO” conclude Azzurra. Lo racconta come sorpresa, lei stessa, dalla magia di questa trasformazione.
Vorrei aggiungere uno spunto di riflessione: evidenziare che quando l’IO si trasforma in NOI non deve perdere la consapevolezza della propria individualità. Quando sto con gli altri, ad esempio, non faccio i dispetti a un compagno solo perché è un’indicazione del gruppo. E, allo stesso modo, quando NOI si trasforma in IO, non perdo la mia appartenenza alla collettività, che è intorno a me anche se non in situazione di interazione. Come a dire che ogni persona è IO e NOI allo stesso tempo. Ma mi trattengo. Penso che gli spunti di riflessione emersi in questo primo anno di scuola siano già tanti e abbiano bisogno di essere rielaborati e interiorizzati.
Educare i bambini alla cittadinanza è avviarli ad un processo che li accompagnerà per tutta la vita: ciascuno di loro dovrà imparare ad assumersi le proprie responsabilità, a rispondere dei propri comportamenti, delle proprie scelte; e, contemporaneamente, dovrà sentirsi parte della collettività.
A noi educatori il compito di aiutare i bambini a riflettere sul vissuto, sviluppando la capacità di osservazione e di autoosservazione. Per fare questo è indispensabile parlare, interrogarli, ascoltarli, analizzare insieme le parole dette, trasmettendo la fiducia nel valore dell’espressione dei propri pensieri e sentimenti e del confronto con quelli altrui, nella possibilità di garantire il diritto alla convivenza di pensieri diversi.
Concludo con una raccomandazione: non si deleghi alla scuola la crescita e lo sviluppo dei bambini. E’ un compito che deve essere condiviso tra genitori, insegnanti e educatori di altre agenzie. Perché la cittadinanza si fonda su un patto di corresponsabilità che, se tradito, mina le basi della convivenza.
 
Giugno 2010