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L'intervista - Raccontare la Shoah ai bambini N.L. n° 6


Raccontare la Shoah ai bambini

Intervista ad Anna e Michele Sarfatti

 
Anna Sarfatti, fiorentina, che ha insegnato nella scuola dell’infanzia e primaria, scrive prevalentemente per giovani lettori. Molti suoi libri parlano di diritti e cittadinanza attiva.
Notizie  sulle sue pubblicazioni e molto altro sul sito www.annasarfatti.it.
 
Michele Sarfatti è Direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC di Milano, si occupa di storia contemporanea, e in particolare delle vicende degli ebrei e della Shoah in Italia".
Anna e Michele Sarfatti sono autori de  L’albero della memora. La Shoah raccontata ai bambini,  con le illustrazioni di Giulia Orecchia,  Mondadori, 2013.
 
  1. Raccontare la  shoah e per di più ai bambini è una sfida davvero  difficile. Perché avete deciso di affrontarla?
Perché volevamo aiutare i bambini a crescere, anche conoscendo la storia di cui sono figli e perché volevamo tentare la sfida di scrivere un libro rispettoso sia della vicenda storica della Shoah sia della sensibilità dei giovani lettori di oggi​. Abbiamo intrecciato l'esperienza di Anna di scrittura di libri storici ed etici per bambini e l'esperienza di Michele di scrittura di libri sulla Shoah per ragazzi grandi e adulti.
 
  1. Nella introduzione del racconto  si dice che Samuele, il ragazzo protagonista del libro, “esiste solo nel libro, ma tutte le vicende che accadono a lui e alla sua famiglia sono realmente accadute agli ebrei in Italia  negli anni della persecuzione antisemita 1938-1945”. Quale  il ruolo della finzione e quello della storia nel vostro racconto?
La storia di Samuele, così come la abbiamo concepita, è funzionale alla conoscenza dei fatti storici, che volevamo presentare ai bambini in una forma suggestiva e avvincente. Già con “Fulmine, un cane coraggioso”, libro che parla ai bambini della Resistenza, avevamo sperimentato un’operazione simile, che è risultata efficace ed è stata apprezzata dai bambini e dagli adulti.
 
  1. La soluzione di affidare la narrazione storica a dei brevi box informativi e all’appendice finale ci sembra particolarmente efficace: come è stata la collaborazione tra la scrittrice e lo storico?

Si è trattato di una collaborazione costante, a partire dall’impianto generale e a seguire scena per scena, addirittura verso per verso. Abbiamo condiviso fin dall’inizio la scelta di voler offrire ai bambini uno strumento di conoscenza e, per fare questo, la scrittrice ha messo i suoi strumenti al servizio di questo progetto.
 
  1. Come è nata l’idea dell’albero? E perché sono “gli alberi che in tempo di guerra  si fanno carico della memoria delle persone”?
L’albero è nato dalla mente della scrittrice, innamorata degli ulivi pugliesi in mezzo ai quali è cresciuta nella sua infanzia. E’ una figura simbolica, una sorta di archivio della natura. Nella storia della nostra famiglia, c’è una casa dei bisnonni nella campagna fiorentina che è stata occupata da un comando tedesco, e dalla quale sono stati portati via quadri e oggetti. Ma gli alberi hanno resistito alle violenze.
 
  1. Perché scrivere  in rima?
Perché i bambini hanno sempre detto di apprezzare i racconti in rima, specie quando i contenuti sono “difficili” o dolorosi. La rima è vissuta come un gioco e quindi invita a leggere. C’è poi una seconda ragione: la rima facilita la memorizzazione. La quartina che segue, ad esempio, racconta una verità storica che troppi italiani sembrano aver dimenticato: “Zio Elio arriva spesso col giornale / che dà notizie sempre più inquietanti: / gli ebrei sono accusati di ogni male. / Mamma commenta: “Così non si va avanti!”
 
  1. La storia di Samuele e della sua famiglia si ferma all’arresto dei suoi genitori: quali le ragioni di questa scelta?
I bambini (quelli in età di scuola primaria) hanno diritto di essere protetti dall’orrore, e perdere i genitori sapendoli deportati e poi uccisi è una verità così crudele che può angosciare e terrorizzare un bambino, fargli perdere fiducia nella vita e negli adulti da cui dovrebbe sentirsi comunque aiutato e protetto. Il terrore è ancora più forte in chi non ha gli strumenti conoscitivi per contestualizzare questa tragedia, che risulta incomprensibile e quindi possibile a ripetersi in qualsiasi luogo e tempo. 
 
  1. Secondo la vostra esperienza a che età  è opportuno parlare della shoah ai bambini? Quali argomenti ritenete sia giusto trattare?
Fino dai sette anni, se per quella fascia di età si affronta in particolare il tema delle diverse identità, del pregiudizio, dell’espulsione dalle scuole, della progressiva negazione dei diritti. Poi, per gradi, si può affrontare la fase della separazione, della violenza, fino alla distruzione delle persone fisiche, ma evitando di aprire ai bambini il baratro delle camere a gas. A meno che non siano i bambini stessi ad aprire l’argomento, magari con parole o concetti errati, che è opportuno correggere delicatamente.
 
  1. La presenza di alunni ebrei nella classe crea nell'insegnante il timore di turbare la loro sensibilità e di suscitare paure che la shoah possa ripetersi, quali consigli potete dare?
La pre-conoscenza della Shoah in un bambino ebreo può essere maggiore o anche minore di quella di un bambino non ebreo; è sempre difficile conoscere le situazioni di ciascuno. Allo stesso modo egli può approcciarsi alla Shoah con più o meno angoscia. L'insegnante può contrastare l'angoscia presentando gli ebrei non solo come "oggetto" di una tremenda persecuzione, ma anche come "soggetti" dotati di vitalità, prima e soprattutto dopo la Shoah. In tal modo, egli educherà anche gli altri bambini a non percepire gli ebrei solo come vittime. In caso il bambino ebreo espliciti la paura che qualcosa di simile possa ripetersi, trattare
l’argomento può essere un aiuto per parlare di questa paura ed affrontarla. Conoscere aiuta a formarsi gli strumenti per  riconoscere i segnali di intolleranza, o addirittura di violenza,  verso qualsiasi persona o gruppo della nostra società. Come abbiamo già detto, questo processo di conoscenza deve essere cauto, rispettoso e graduale. Anna ricorda una bambina figlia di tedeschi in un incontro in cui si affrontava il tema della Resistenza che a un certo punto scoppiò in lacrime. Le insegnanti chiesero di sostituire il termine tedeschi con quello di nazisti e di evitare qualsiasi generalizzazione. Trattare questi temi richiede un livello alto di conoscenza della materia e altissimo di conoscenza della psicologia dei bambini. 
 
  1. A volte l’attualità del conflitto palestinese-israeliano crea resistenze da parte delle famiglie arabe a far trattare l’argomento shoah in classe: avete mai riscontrato questo problema?
Non ci è capitato. Siamo invece stati informati di resistenza da parte dei genitori più ansiosi a trattare il tema della Shoah con i bambini di scuola primaria, per paura di turbarli. Interessante notare che gli stessi genitori spesso consentono ai loro bambini di giocare con videogames di guerra dove si vince uccidendo quanti più nemici possibile.
Parlare di Shoah vuol dire trattare quella vicenda storica che colpì gli ebrei in Italia e in Europa tra gli anni ’30 e gli anni ’40. E’ necessario definire i confini della vicenda, che non può e non deve essere messa in relazione con l’attuale conflitto palestinese-israeliano.
 
                             Insegnanti Laboratorio di storia Mogliano Veneto (TV)
Annamaria Borsellino, Rosella De Bei, Fabiola Gobbo,
Eliana Guzzo, Monica Lana, Flavia Muraro, Ornella Panfilo e Stefania Trevisin